Simone De Beauvoir, Memorie di una ragazza perbene, trad. it. di Bruno Fonzi, Einaudi, Torino 1994, pp. 145-146.
Nelle Memorie d’una ragazza perbene, pubblicato per la prima volta in francese nel 1958, la scrittrice e filosofa Simone de Beauvoir (1908-1986), ricostruisce con taglio romanzesco la propria infanzia e la propria adolescenza. Ai frequenti scontri con la famiglia e con l’ambiente sociale dell’alta borghesia francese, che la donna giudica meschino, bigotto e carico di pregiudizi, si alternano momenti di ribellione e rivalsa, in cui la protagonista sente la necessità di liberarsi da questo mondo che alle donne non dà le stesse possibilità (sociali, economiche) riservate ai maschi.
Nel brano che segue, che leggiamo nella traduzione di Bruno Fonzi, la scrittrice ricorda di quando comprese definitivamente che cosa avrebbe voluto fare in futuro e perché. La narratrice ha cinquant’anni e sta raccontando di quando era una ragazza di circa sedici anni e si trovava a Meyrignac, un piccolissimo paese al centro della Francia, durante le vacanze estive. Simone trascorre il tempo leggendo romanzi. A un certo punto compare nel brano il nome di una ragazza, Zazà, una compagna di scuola della protagonista.
In quell’epoca lessi un romanzo che mi rifletté l’immagine del mio esilio: The Mill on the Floss [Il mulino sulla Floss] di George Eliot. Mi fece un’impressione ancor più profonda di quella che anni prima mi aveva fatta Little Women [Piccole donne]. Lo lessi in inglese, a Meyrignac, distesa sull’erba di un castagneto. Bruna, amante della natura, della lettura, della vita, troppo spontanea per osservare le convenzioni del suo ambiente, ma sensibile alle critiche di un fratello che adorava, Maggie Tulliver era, come me, divisa tra gli altri e sé stessa: mi riconobbi in lei. La sua amicizia col giovane gobbo che le prestava i libri mi commosse quanto quella di Joe con Laurie; desideravo che si sposassero. Ma anche questa volta, l’amore passava con l’infanzia. Maggie si innamorava del fidanzato di una cugina, Stephen, che conquistava involontariamente. Compromessa da lui, si rifiutava di sposarlo per lealismo verso Lucy; il villaggio avrebbe scusato una perfidia sanzionata da giuste nozze, ma non perdonava Maggie di aver sacrificato le apparenze alla voce della sua coscienza. Persino suo fratello la rinnegava. Io non concepivo che l’amicizia-amore; ai miei occhi, dei libri scambiati e discussi insieme creavano tra un giovane e una ragazza legami eterni; non riuscivo a comprendere troppo bene l’attrazione che Maggie provava per Stephen. Tuttavia, visto che lo amava, non avrebbe dovuto rinunciare a lui. Quando ella si ritirava nel vecchio mulino, misconosciuta, calunniata, abbandonata da tutti, mi struggevo di tenerezza per lei. Piansi sulla sua morte per ore e ore. Gli altri l’avevano condannata perché valeva più di loro; io le somigliavo, e da allora, nel mio isolamento, non vidi più un marchio d’infamia ma un segno di elezione. Ma non avevo intenzione di pagarlo con la vita. Attraverso la sua eroina, io m’identificavo con l’autrice; un giorno, un’adolescente, un’altra me stessa, avrebbe bagnato con le sue lacrime un romanzo in cui io avrei raccontata la mia propria storia.
Già da molto tempo avevo deciso di consacrare la mia vita ai lavori intellettuali. Zazà mi scandalizzò dichiarando in tono provocatorio: – Mettere al mondo nove figli, come ha fatto la mamma, vale quanto scrivere dei libri –. Io non vedevo affatto una misura comune tra questi due destini. Avere figli, che a loro volta avrebbero avuto figli, significava rifriggere all’infinito lo stesso noioso ritornello; il dotto, l’artista, lo scrittore, il pensatore, creavano un altro mondo, un mondo luminoso e gioioso, dove tutto aveva la sua ragion d’essere. Era in quel mondo che volevo passare i miei giorni; ero ben decisa a farmici un posto. Quando ebbi rinunciato al cielo, affiorarono le mie ambizioni terrene: bisognava emergere. Distesa su un prato, contemplavo, proprio all’altezza del mio occhio, l’accavallarsi dei fili d’erba, tutti identici, ciascuno affondato nella minuscola giungla che gli nascondeva tutti gli altri. Questa ripetizione indefinita dell’ignoranza, dell’indifferenza, equivaleva alla morte. Levai gli occhi alla quercia; dominava il paesaggio e non aveva eguali. Io sarei stata come lei.
Perché ho deciso di mettermi a scrivere? Da bambina, non avevo preso minimamente sul serio i miei scarabocchi; il mio vero interesse era quello di sapere; mi piaceva fare i componimenti di francese, ma le signorine mi rimproveravano il mio stile agghindato; non mi sentivo «dotata». Tuttavia, quando […] scrissi sull’album di un’amica le predilezioni e i progetti che avrebbero dovuto definire la mia personalità, alla domanda: «Che cosa Volete fare da grande?» risposi di getto: «Essere una scrittrice celebre». A proposito del musicista preferito, del fiore prediletto, avevo inventato gusti piú o meno fittizi. Ma su questo punto non ebbi esitazioni: agognavo quest’avvenire ad esclusione di qualsiasi altro.
La prima ragione era l’ammirazione che m’ispiravano gli scrittori; mio padre li metteva ben al di sopra degli scienziati, degli eruditi, dei professori. Anch’io ero convinta della loro superiorità; anche se il suo nome era largamente conosciuto, l’opera di uno specialista era soltanto per un ristretto numero di persone; i libri, tutti li leggevano, toccavano il cuore e la fantasia; conferivano al loro autore al gloria più universale e più sentita. Inoltre, come donna, mi sembravano più accessibili quelle cime che i pianori sottostanti; le piú celebri delle mie simili si erano illustrate nella letteratura.
E poi avevo sempre avuto il gusto della comunicazione. Sull’album della mia amica, come divertimenti favoriti, citai la lettura e la conversazione. Ero loquace. Tutto ciò che mi colpiva nel corso di una giornata, lo raccontavo, o almeno tentavo di farlo. Ciò che temevo era la notte, l’oblio; era una lacerazione abbandonare al silenzio ciò che avevo visto, sentito, amato. Commossa da un chiaro di luna, desideravo carta e penna, e sapere come servirmene. […] amavo le corrispondenze, i diari – per esempio il giornale di Eugènie de Guérin – che cercano di fissare il tempo. Avevo anche compreso che i romanzi, le novelle, i racconti, non sono cose estranee alla vita, ma la esprimono a loro modo.
Memorie di una ragazza perbene di De Beauvoir è ancora oggi pubblicato da Einaudi.
UN BRANO TRATTO DA QUESTO LIBRO È DA LEGGERE AD ALTA VOCE IN CLASSE PER L’ATTIVITÀ n° 4 DEL KIT DIDATTICO PER IL SECONDO BIENNIO E IL QUINTO ANNO DELLA SECONDARIA DI II GRADO.

