Andrew Norris, Da quando ho incontrato Jessica, trad. di Claudia Valentini, Il Castoro, Milano 2016, pp. 10-14 (ed. or. in lingua inglese 2015).
In questo romanzo si racconta la storia di Francis, un adolescente timido e piuttosto solitario che un giorno, fuori da scuola, fa la conoscenza di Jessica, una sua coetanea. Presto il ragazzo si accorge di non aver mai avuto un’amica come Jessica: lei, infatti, è la prima persona che riesce a farlo sentire davvero sé stesso. Anche la ragazza, in realtà, non ha mai incontrato un amico come Francis. Non solo perché è qualcuno con cui ridere ogni giorno, ma anche perché Francis è la prima persona in grado di vederla e sentirla, almeno da quando è morta un anno prima: la ragazza è infatti un fantasma che si aggira per la città.
Da un incontro puramente casuale, avvenuto all’uscita della scuola di Francis, nasce fra questi due personaggi un’amicizia atipica ma profonda e grazie alla quale, con il passare dei giorni, l’uno riesce totalmente ad aprirsi con l’altra e viceversa. Nel brano che segue, tratto dalle prime pagine del romanzo, Francis mostra a Jessica un suo segreto.
Jessica seguì Francis nello stretto atrio d’ingresso, in cui troneggiava un enorme dipinto a olio inserito in una ricca cornice dorata. Era il ritratto a figura intera di un uomo dall’aria arcigna, in uniforme della marina, con le spalline dorate sulla giacca e una mano appoggiata sulla spada che teneva al fianco.
«Caspita!», esclamò. «Chi è quello?»
«L’Ammiraglio.» Francis si tolse il giaccone e lo sistemò sull’appendiabiti. «Il mio bis-bis-nonno.»
Prese lo zaino e si avviò per andare di sopra. «Vado a cambiarmi. Ci metto un attimo.»
Salì le scale due a due e, una volta in camera sua, si levò svelto gli abiti di scuola per infilarsi jeans e maglietta. Uscendo, trovò Jessica che l’aspettava sul pianerottolo. Si era sbarazzata del piumino e del cappello di lana, e ora sopra i jeans indossava un largo maglione.
Era concentrata su un altro ritratto, imponente quasi quanto quello al piano di sotto, ma stavolta si trattava di una giovane donna con indosso un vestito degli anni ’20. Stava in piedi con un braccio appoggiato a un caminetto piuttosto grande, lo sguardo rivolto a qualcosa fuori dal dipinto, e rideva.
«E lei chi è?», domandò.
«La bisnonna», rispose Francis. «La figlia preferita dell’Ammiraglio.»
Jessica annuì continuando a esaminare il dipinto.
«Si possono capire un sacco di cose di una persona a partire dai vestiti che indossa, non trovi?», disse. «Prendi l’Ammiraglio di sotto, per esempio. La sua uniforme è tutta abbottonata fino in cima e lo tiene a freno, come la miriade di regole a cui deve obbedire.» Poi indicò il dipinto davanti a sé. «E invece guarda lei, porta una cosa lenta e leggera che le dà libertà. Si capisce che non c’è niente che la freni e che le piace così.»
Si voltò verso Francis come se si aspettasse un suo commento. Ma lui non disse niente.
«Scusa, dimenticavo. Ai ragazzi non importa molto dei vestiti.» E si avvicinò di nuovo alle scale. «Torniamo giù?» «Devo solo lasciare questo nella mia stanza.» Francis teneva in mano lo zaino e si stava avviando verso un’altra rampa di scale, più strette delle altre, che invece di scendere continuavano a salire.
«Pensavo che quella fosse la tua stanza.» Jessica indicò la camera da letto.
«Li è dove dormo», rispose Francis. «Di sopra ho un’altra stanza per… per altre cose.» «Posso vederla?»
Francis stava per rispondere di no. Nella sua testa si erano già formate le parole per spiegarle perché non si poteva – che là sopra non c’era niente di speciale, che sarebbero stati più comodi giù in cucina, che lui aveva fame e aveva bisogno di mangiare – ma non furono quelle le parole che gli uscirono di bocca. Chissà perché. Non lo capì mai. Sembrava uno di quei giorni in cui le solite regole perdono di colpo ogni valore.
«Certo», le disse. «Perché no?»
Francis salì le scale e aprì la porta di una stanza che copriva l’intera lunghezza della casa.
La prima cosa che Jessica notò furono i bozzetti appesi alla parete di fronte a lei. Erano bozzetti di moda, fatti per lo più a penna e china, di tutta una serie di giacche, vestiti e abiti da sera. Sotto c’era un tavolo da lavoro con una macchina da cucire e, impilati dietro la macchina, c’erano rotoli e rotoli di stoffa in un caleidoscopio di motivi e colori diversi. Sulla sinistra, sotto a un lucernario, c’era un tavolo coperto da uno scampolo di cotone color ghiaccio, con dei cartamodelli appoggiati sopra. Sulla destra, un busto da sarta se ne stava dritto accanto a un divano di pelle piuttosto malconcio.
Non esattamente quello che ci si aspetta di trovare nella stanza di un ragazzo, ma la cosa che la lasciò davvero sbalordita, e che Jessica scorse soltanto quando si girò verso la porta alle sue spalle, fu una serie di mensole sulle quali erano disposte file e file di bambole. Ce n’erano almeno cinquanta, ognuna con un vestito diverso.
«Cos’è questo posto?», chiese.
«Te l’ho detto.» Francis cercò di mantenere un tono neutro, ma mentre parlava teneva gli occhi fissi e attenti sulla ragazza. «È la mia stanza. Dove faccio le mie cose.»
Jessica si avvicinò alle bambole.
«E quindi queste sono tutte tue?»
«Sì.» Francis le andò accanto. «Sto cercando di fare una specie di storia illustrata della moda degli ultimi cinquant’anni.» E prese in mano una delle bambole. Aveva una giacca di pelle borchiata e i capelli rasati e tinti a stelle e strisce, come la bandiera americana.
«Ogni bambola rappresenta un certo stile, vedi? Chic e decisa, punk, grunge…»
Jessica ne indicò una con un vestito che sembrava fatto di plastica rosa sagomata. «E quello?»
«E un Miyake», rispose Francis. «Uno stilista giapponese.»
La ragazza distolse per un attimo l’attenzione dalle bambole e indicò i bozzetti puntati sulla parete opposta.
«E anche quelli sono tutti tuoi?»
Francis annui. «Mi piace la moda. Mi è sempre piaciuta.» Jessica rimase un secondo con lo sguardo perso, poi il volto le si accese con un gran sorriso.
«Non sai quello che avrei dato per avere un posto come questo quando ero viva!», esclamò.
Francis non disse nulla, ma viso e spalle sembrarono rilassarsi per la prima volta da quando erano entrati lì dentro.
…
UN BRANO TRATTO DA QUESTO LIBRO È DA LEGGERE AD ALTA VOCE IN CLASSE PER L’ATTIVITÀ n° 4 DEL KIT DIDATTICO DELLA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO.

