La storia del romanzo L’isola di Arturo, narrata in prima persona dallo stesso protagonista, è ambientata nell’isola di Procida, davanti alle coste napoletane, negli anni della seconda guerra mondiale. Arturo Gerace è un quattordicenne di Procida. Sua madre è morta durante il parto, e adesso vive nell’isola insieme al padre italo-tedesco Wilhelm, che per Arturo è il più grande eroe della storia. Tutto ciò che è legato a lui è sacro, e Arturo cerca in tutti i modi di essere all’altezza della figura paterna. Un giorno, finalmente, ad Arturo si presenta l’occasione giusta per compiere un’impresa e ottenere l’ammirazione e la gratitudine di suo padre. Padre e figlio sono in riva al mare, in costume da bagno.
Finalmente, un giorno, io credetti arrivata l’occasione che avevo sempre aspettato, di dargli la grande prova di me! Ci bagnavamo insieme, e nuotando egli smarrì nel mare, inspiegabilmente, il suo famoso orologio anfibio, del quale andava fiero e che portava anche in acqua.
Fummo assai contristati della perdita; lui guardava il mare con una smorfia di rabbia, poi si riguardava il polso nudo; e mi rispose con un’alzata di spalle quando mi offersi di andargli a ricercare l’orologio nei fondi sottomarini. Tuttavia, mi cedette la sua maschera subacquea; e io partii, fremendo d’ambizione e d’onore. Lui rimase a aspettarmi sulla riva.
Esplorai tutti i fondi, nel tratto che avevamo percorso prima bagnandoci: le acque, là, non sono molto alte, e sono interrotte da secche e scogliere. La mia ricerca si prolungava, gli scogli alti mi nascondevano alla sua vista; e io riaffiorando ogni tanto per riprender fiato, udivo i suoi fischi di richiamo. Da principio lo lasciai senza risposta, perché mi vergognavo di non potergli annunciare una vittoria; ma infine, per rassicurarlo che non ero sparito nel mare come l’orologio, gli risposi, dall’alto d’uno scoglio, con un lungo fischio. Mi guardò in silenzio, senza nessun cenno; e io, a riguardare la sua persona dorata dall’estate, e segnata al polso da un cerchio più bianco, decisi: “O tornare da lui con l’orologio, o morire!”
Mi riagganciai la maschera, e ripresi la mia esplorazione. Oramai, ritrovare l’orologio non significava soltanto la riconquista d’un tesoro, non era più una questione d’onore soltanto. Quella ricerca aveva preso per me uno strano senso fatale, la sua durata trascorsa mi pareva già incommensurabile, e il suo termine quasi un traguardo della mia sorte! Erravo per quei fondi variegati e fantastici, fuori dai regni umani, bruciando, minuto per minuto, questa speranza ineguagliabile: di splendere, come un prodigio, agli occhi di Lui! Era questa, la posta grandiosa ch’era in gioco! E nessuno per aiutarmi, né angeli né santi da pregare. Il mare è uno splendore indifferente, come Lui.
Le mie ricerche rimanevano inutili; estenuato mi tolsi la maschera, e mi aggrappai con le mani a uno scoglio per riposarmi. Lo scoglio mi nascondeva la vista della riva, e nascondeva a mio padre la scena della mia sconfitta. Ero solo, in un campo senza direzione, peggio d’un labirinto.
Ora mentre, aggrappato allo scoglio, mi bilanciavo tristemente sull’acqua, a un movimento che feci intravidi uno scintillio metallico al sole! Puntando le due mani saltai sullo scoglio, e scopersi l’orologio smarrito, che scintillava in una cavità asciutta della roccia. Era intatto, e accostandomelo all’orecchio udii il suo ticchettìo.
Lo rinchiusi nel pugno, e, con la maschera appesa al collo, in pochi secondi raggiunsi la spiaggia. Gli occhi di mio padre s’illuminarono al vedermi arrivare vittorioso. – L’hai trovato! – esclamò quasi incredulo. E in atto di possesso, e d’affermazione d’un diritto, mi strappò dalle mani l’orologio, come fosse una preda ch’io potessi contendergli. Se lo accostò all’orecchio, e lo riguardò con soddisfazione.
– Era là, su quello scoglio là! – io gridai, ancora ansimante. Ero fuori di me, avrei voluto saltare e ballare, ma fieramente mi contenevo, per non mostrare che davo troppa importanza alla mia impresa.
Elsa Morante, L’isola di Arturo (1957), Torino, Einaudi 2014.
UN BRANO TRATTO DA QUESTO LIBRO È DA LEGGERE AD ALTA VOCE IN CLASSE PER L’ATTIVITÀ n° 7 DEL KIT DIDATTICO PER IL PRIMO BIENNIO DELLA SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO.

