Janne Teller, Niente, trad. it. di Maria Valeria D’Avino, Feltrinelli, Milano 2012, pp. 26-28 (ed. or. in lingua danese del 2000).
Siamo in Danimarca ai tempi nostri. Appena qualche anno fa. È la storia di un gruppo di studenti, compagni e compagne di classe. Pierre Anthon ha 13 anni e decide di lasciare la scuola. La sua è una decisione particolare, perché sceglie di andare a vivere su un susino, cibandosi dei suoi frutti e usando le susine per lanciarle addosso ai passanti e ai suoi amici e alle sue amiche. C’è una frase molto significativa che il personaggio pronuncia per spiegare il suo gesto: «Se niente ha senso, è meglio non far niente piuttosto che qualcosa». Per dimostrargli che sta sbagliando, i suoi compagni – fra cui la giovane Agnes, protagonista e voce narrante della storia – decidono di raccogliere cose che per loro hanno un significato profondo. In questo brano, che leggiamo nella traduzione di Maria Valeria D’Avino, sono presenti alcuni dei ragazzi e delle ragazze del gruppo, che si trovano intorno alla catasta degli oggetti raccolti fino a quel momento.
La catasta cresceva sempre di più.
Nel giro di pochi giorni diventò alta quasi come la piccola Ingrid. Quanto al significato però, ce n’era ancora poco. Sapevamo benissimo che niente di quel che avevamo raccolto era davvero importante per noi, perciò come avremmo potuto convincere Pierre Anthon del contrario?
Ci avrebbe smascherati subito.
Nulla. Zero. Niente.
Ancora una volta Jan-Johan ci convocò. E così fummo costretti ad ammettere che in effetti c’erano cose che avevano un significato per noi, magari non tante, e nemmeno così importanti. Ma okay: sempre meglio di quello che avevamo raccolto fin lì.
Dennis fu il primo. Arrivò con un mucchio di libri della serie Dungeons & Dragons che aveva letto e riletto e sapeva quasi a memoria. Ole però si accorse subito che ne mancavano quattro, e disse che Dennis doveva tirare fuori anche quelli.
Dennis si mise a urlare che Ole doveva occuparsi dei fatti suoi, che non era quella la cosa più importante, lo sapevamo benissimo ed eravamo dei vigliacchi pidocchiosi. Ma più lui urlava, più noi insistevamo nel dire che quei libri erano evidentemente importantissimi per lui. E non avevamo forse stabilito che in quella catasta dovevano andarci proprio le cose più importanti, se volevamo convincere Pierre Anthon a scendere dal susino?
Nel momento in cui Dennis consegnò gli ultimi quattro Dungeons & Dragons, fu come se il significato prendesse il volo. Perché Dennis sapeva quanto Sebastian tenesse alla sua canna da pesca. E Sebastian sapeva che Richard adorava il suo pallone da football nero. E Richard aveva notato che Laura portava sempre gli orecchini con i pappagalli africani.
Qualcuno avrebbe dovuto fermarci prima. A quel punto in qualche modo era già troppo tardi, anche se io cercai di fare il possibile.
“Tutto questo non ha senso” dissi.
“Ah!” fece Gerda con una risata a denti stretti, indicando i sandali verdi con un po’ di tacco che avevo passato l’estate a convincere mia madre a comprarmi, riuscendoci solo da poco, quando erano cominciati i saldi e li aveva presi a metà prezzo.
Sapevo che sarebbe successo. E a essere sincera fino in fondo anche per questo avevo cercato d’interrompere la raccolta. Era solo questione di tempo prima che qualcuno puntasse il dito sui miei sandali. Che poi quel qualcuno fosse Gerda, quella scema tutta risatine e smorfiette, peggiorava solo le cose. All’inizio cercai di far finta di niente, di non aver capito a cosa si riferiva Gerda, ma Laura non me la fece passare.
“I sandali, Agnes” disse, così non ebbi via d’uscita.
Mi accovacciai e stavo per slacciarmi i sandali, ma non ce la facevo e mi rialzai.
“Non posso” dissi. “Mia madre vorrà sapere dove sono e così i grandi scopriranno tutto.” Pensavo di essere molto furba. Mi sbagliavo.
“Chi ti credi di essere?” urlò Sebastian. “Pensi che mio padre sappia dov’è la mia canna da pesca?” Come per sottolineare le sue parole afferrò il filo con l’amo che dondolava sopra la catasta.
“E i miei libri?”
“E il mio pallone?”
“E i miei orecchini?”
Avevo perso e lo sapevo. Pregai solo di poter rimandare la consegna di qualche giorno.
“Solo finché non finisce l’estate.”
Non ci fu nessuna pietà. Però mi concessero di farmi prestare un paio di scarpe da ginnastica da Sofie, per non dover tornare a casa a piedi nudi.
Le scarpe di Sofie mi andavano strette e mi schiacciavano l’alluce e la strada dalla segheria a casa mi sembrò più lunga del solito. Piangevo quando girai nel vialetto di casa mia e feci l’ultimo pezzo di strada da sola.
Non entrai subito, mi nascosi nella rimessa delle biciclette, dove non mi potevano vedere né dalla casa né dalla strada. Mi tolsi le scarpe di Sofie e le buttai in un angolo con un calcio. L’immagine dei miei due sandali verdi in cima alla catasta del significato non mi voleva lasciare.
Mi guardai i piedi nudi e decisi che Gerda l’avrebbe pagata.
…
UN BRANO TRATTO DA QUESTO LIBRO È DA LEGGERE AD ALTA VOCE IN CLASSE PER L’ATTIVITÀ n° 6 DEL KIT DIDATTICO DELLA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO E PER LA n° 5 DEL KIT DIDATTICO PER IL PRIMO BIENNIO DELLA SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO.

