Valeria Parrella, Quello che non ricordi più, in Mosca più balena, Roma, Minimum Fax, 2003.
In Quello che non ricordo più, contenuto nel primo libro della scrittrice Valeria Parrella, la voce narrante di una giovane donna racconta di quando era bambina e viveva a Napoli con i suoi genitori, una coppia benestante e colta, le cui idee progressiste contrastavano con le superstizioni e le credenze popolari degli altri genitori e dei compagni di scuola. Katia è una sua compagna di scuola.
“L’archeologa”.
Ho detto per anni che dopo il liceo avrei fatto l’archeologa: mi sembrava una buona mediazione tra tutto quello che gli altri si aspettavano da me.
Ma non era vero: io volevo fare la commessa come la mamma di Katia.
La commessa alla Upim, part-time. Tutta la vita.
Noi studiavamo la matematica, e poi alle medie la tecnica, e poi al liceo il greco, e lei sempre i giorni dìspari a un certo punto si alzava e sì andava a preparare per il lavoro, lo la seguivo in bagno per guardare come si truccava, ero affascinata dalla procedura.
Katia di là mi chiamava sulle analisi logiche, per lei erano la conquista, la chiave per il cambiamento. Io di logico non ci trovavo niente su quei fogli e l’unica cosa che sognavo di cambiare nella mia vita era il colore dell’ombretto. Tutti i giorni.
La mamma di Katia si truccava, chiacchierava di cose bellissime, leggere come la cipria. Cose che non andavano valutate, sulle quali non si reggeva il mondo.
Cose che non ricordo più.
Al loro posto ricordo che il predicativo del soggetto non è quello dell’oggetto, anche se può sembrarlo.
Insomma la realtà si poteva scomporre su vari livelli, mentre sulla faccia della mamma di Katia si ricomponeva perfettamente nel make-up e, senza che lei lo sapesse, nella sua parola, la parola che portava in un vortice le comari, i costumi, le diete, la scopa elettrica.
Poi se ne andava al lavoro e io, se potevo immaginarmi in un modo, mi ci immaginavo così.
Con il camice del negozio a passare per gli scaffali.
“L’archeologa”, dicevo sempre, ma gli unici pezzi che avrei voluto inventariare erano i saponi, le schiume da barba, quel le per i capelli.
Avrei voluto togliermi le scarpe sotto la cassa e chiacchierare con i clienti, vedere tutti i giorni le stesse persone per quarant’anni, e a fine giornata lamentarmi del mal di schiena, delle nuove arrivate, del caldo.
“L’archeologa”.
Ma tutto quello che di interessante c’era da disseppellire, da scavare e da scoprire, mi stava intorno.
“Sono solo tre anni: imparerai l’inglese, ti servirà. E poi, in questa città, o sei camorrista, o tieni le conoscenze, o fai il mago per televisione: non ci perdiamo niente”.
Io seguii i miei all’estero sempre pensando che mi sarei inserita meglio in una di queste tre categorie che in un’università di Londra. Il problema vero non fu mai lasciare l’Italia, ma lasciare la città.
La signora Russo pianse per tre giorni la dimensione del mio dramma.
“Io non capisco”, faceva mia madre, “mica è per sempre, che piangete a fare”.
Ma io e la signora Russo non conoscevamo il per-sempre, conoscevamo il per-ora.
Per ora non ci saremmo viste.
“Ma se con l’aereo ci vuole meno tempo a venire da là a qua, che ad andare alla posta centrale”.
A quel punto avrei potuto anche fare l’archeologa, o qualunque altra cosa. Presi diritto e mi laureai, studiando poco e senza interesse; eppure bastò così: mi mettevano a fare le cose, e io le facevo. Come un pupazzetto a corda che prende a camminare in qualunque punto, sempre allo stesso modo. Tutte le mie energie erano ormai tese a coniugare il là con il qua, e riuscii a salire sull’aereo molto più di quanto andassi alla posta, ma mi mancò sempre quella quotidiana ripetizione di gesti che mi rendeva più tollerabile la vita.
Il mio libretto universitario è l’unica testimonianza attendibile di quegli anni, e forse è anche la testimonianza più veritiera della mia vita, perché anche se tutti sapevamo che io ero quella brava, la mia media era normale. Una media normale.
Per completare la lettura di questo racconto e degli altri contenuti in Mosca più balena è disponibile il libro pubblicato da Minimum Fax.
UN BRANO TRATTO DA QUESTO LIBRO È DA LEGGERE AD ALTA VOCE IN CLASSE PER L’ATTIVITÀ n° 10 DEL KIT DIDATTICO PER IL SECONDO BIENNIO E IL QUINTO ANNO DELLA SECONDARIA DI II GRADO.

