David Almond, Skellig, trad. Paolo Antonio Livorati, Salani, Milano 2008, pp. 113-114.
Siamo in Inghilterra, all’incirca venticinque anni fa. La storia è narrata dalla voce di un ragazzo che si chiama Michael. Micheal si è trasferito da poco in una nuova casa. È un momento di difficoltà della sua vita, perché la sua sorellina è nato prematuro e la loro madre passa gran parte del tempo all’ospedale. Un giorno Micheal ha trovato nel garage della vecchia casa una strana creatura dall’aspetto umano, Skellig, di cui si prenderà cura insieme alla sua amica Mina. Nel brano che stiamo per leggere Michael è a casa di Mina e sta aspettando il ritorno di suo padre, che è in ritardo. Per passare il tempo Michael e Mina disegnano.
Aspettammo seduti a tavola mentre la luce sbiadiva, ma papà non arrivava. Continuavo ad andare in soggiorno per guardare dalla finestra, senza vedere niente. La madre di Mina cercava di consolarmi.
«Stai tranquillo, Michael. Arriverà presto. Stai tranquillo. Sono sicura che sta andando tutto bene». Disegnammo ancora. Disegnai la mia famiglia riunita intorno ala bambina. Disegnai Mina con la faccia pallida, gli occhi scuri e la frangia nera tagliata dritta sulla fronte. Disegnai Skellig disteso, secco, polveroso e inerme sul pavimento del garage e poi lo disegnai in piedi, fiero, davanti alla finestra ad arco, con i gufi che gli volavano intorno. Guardai il cambiamento. Come era successo? Erano bastati il cibo cinese, l’olio di fegato di merluzzo, l’aspirina e la birra scura e le cose morte che gli avevano lasciato i gufi? Disegnai Ernie Myers con un pigiama a strisce che guardava fuori, verso la giungla. Sentii che più disegnavo, più mano e braccio si scioglievano. Notai che ciò che appariva sulla pagina somigliava sempre più a quello che vedevo o a cui pensavo. Sentii come, disegnando, la mia mente era sempre più concentrata, anche se una sua parte stava ancora pensando preoccupata alla bambina. La disegnai diverse volte, la bambina, concentrandomi ogni tanto sugli occhi grandi e nitidi, ogni tanto sule manine minuscole, ogni tanto sul modo in cui tutto il suo corpo si era inarcato quando l’avevo tenuta sulle ginocchia. Disegnai il mondo come avrebbe potuto vederlo lei: lì lungo reparto d’ospedale pieno di ingombranti adulti, la rete di fili, tubi e strumenti che facevano ‘bip’ riempivano tutto il suo campo visivo, le facce delle infermiere che sorridevano. Disegnai il mondo distorto in forme bizzarre dalla scatola curva di plastica che la racchiudeva. Alla fine disegnai Skellig sulla porta del reparto e sentii l’ondata di esaltazione che avrebbe di sicuro sentito le vedendolo, il suo cuore che accelerava, la fiammella della sua vita che si riaccendeva.
Mina guardò i disegni, uno dopo l’altro. Li mise in una pila ordinata davanti a sé, poi mi strinse la mano.
«Prima non saresti riuscito a farli. Stai diventando più coraggioso e più sicuro».
Alzai le spalle. «Si migliora a calcio giocando. E a disegnare disegnando».
…
UN BRANO TRATTO DA QUESTO LIBRO È DA LEGGERE AD ALTA VOCE IN CLASSE PER L’ATTIVITÀ n° 2 DEL KIT DIDATTICO DELLA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO E DEL PRIMO BIENNIO DELLA SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO.

