Works di Vitaliano Trevisan

Vitaliano Trevisan, Works, Einaudi, Torino 2016, pp. 11-19.

Il protagonista del brano che segue ha quasi sedici anni e vive con i genitori – il padre fa il poliziotto – e la sorella maggiore. Siamo a Vicenza, durante l’estate del 1976, ed è il momento di scegliere la scuola superiore.

Loro erano stati molto chiari, mia madre in particolare: la scuola che volevo fare io, cioè il liceo linguistico, a Vicenza non c’era, e Padova secondo lei era troppo lontana, bisognava prendere il treno, sarebbe costato parecchio, ci avrebbe costretti a fare dei sacrifici, ma soprattutto io ero troppo giovane per andarmene da solo a Padova tutti i giorni. E poi il liceo linguistico!, diceva mia madre, Se proprio vuoi fare il liceo, perché non lo scientifico?, perché non il classico?, visto che sei tanto bravo in italiano. Ma io il classico non volevo farlo, né tantomeno volevo fare lo scientifico, io volevo assolutamente iscrivermi al liceo linguistico. L’assolutamente della frase che precede è un’esagerazione. In verità non sapevo di preciso cosa fare di me stesso. Non ricordo esattamente perché mi ero fissato con il liceo linguistico. Forse proprio perché a Vicenza non c’era, e dover andare a Padova, città che non conoscevo e che allora mi sembrava lontanissima, era già di per sé un’avventura. Il fatto che Padova fosse lontana, cosa che mi avrebbe costretto a star fuori di casa molto più a lungo, e che fosse una città più grande di Vicenza, dove non conoscevo nessuno, e piena di studenti per via dell’università, e in definitiva tutte le cose che mia madre vedeva come un difetto, erano per me un pregio. Ma non ero abbastanza determinato, e dopo una breve, poco convinta resistenza, mi arresi alla volontà di mia madre. E siccome comunque continuavo a non voler fare né il liceo classico né quello scientifico, né tantomeno ragioneria, né una qualche altra scuola professionale, di nuovo su proposta di mia madre, finii per iscrivermi all’istituto per geometri, cioè a una scuola che, secondo lei, ma, come scoprii in seguito, non solo secondo lei, era una via di mezzo tra il liceo e una scuola professionale; una scuola che, rispetto al liceo, alla fine mi avrebbe dato comunque un diploma, senza dover per forza fare l’università, e, rispetto alle professionali, mi avrebbe dato un diploma per così dire più aperto, non così specifico, che avrei potuto in seguito far valere in diversi contesti. Per questo, senza affatto volerlo, per puro ripiego, mi ritrovai a studiare da geometra, senza rendermi conto di quanto quella scelta, o meglio quella non-scelta, sarebbe stata in seguito determinante, e di quanto avrebbe influito su tutte le scelte e le non-scelte che avrebbero segnato il tormentato percorso lavorativo della mia prima vita. Come se le due cose si potessero scindere! Intendo il lavoro e la vita. Chissà, forse per qualcuno sarà anche così. Di certo non è stato e non è così per me. Su questo più tardi. Per ora limitiamoci a rilevare come quel primo anno di geometri, che avevo portato avanti di malavoglia, con risultati altalenanti, salvandomi solo ed esclusivamente grazie al mio ottimo rendimento in materie che, a parte il disegno tecnico, disciplina in cui avevo inaspettatamente ottenuto il voto più alto non solo della mia classe, ma di tutto l’istituto, non erano certo ritenute fondamentali, come italiano, storia e storia dell’arte; quel primo tormentatissimo anno, dicevo, aveva riempito di incertezze circa il mio futuro non solo me, ma anche i miei genitori e specialmente mia madre, cosa che sicuramente aveva influito non poco sul tenore dei loro discorsi, ma è più giusto dire prediche, come detto sempre più spesso incentrate sulla dicotomia lavoro/studio, così che continuamente mi veniva ripetuto che o mi facevo venir voglia di studiare, o dovevo decidermi ad andare a lavorare, che una bocciatura non sarebbe stata tollerata eccetera.

UN BRANO TRATTO DA QUESTO LIBRO È DA LEGGERE AD ALTA VOCE IN CLASSE PER L’ATTIVITÀ n° 3 DEL KIT DIDATTICO PER IL PRIMO BIENNIO SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO.